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Il dialetto: Parole & parole

(vedi da vicino, per comparazione, i seguenti:
 www.melegnano.net/meneghino/dialetto.htm
 www.melegnano.net/spie0006p.htm

 L. Giavini, Le origini di Busto Arsizio, ...)

Riprendendo la riflessione sulla storia (un po’ comparata) del nostro dialetto, va messo in conto di imbatterci in parole e in espressioni della più disparata origine. Da radici celtiche deriverebbero:

badzila ‘vassoio gallo-romano’. Nel latino parlato, baccīnum ‘vaso di legno’,
balosu dal celtico balaoth
capå  ‘prendere’ (celtico: hapà)
fuàstu  ‘di fuori, forestiero, di un altro paese’ (per i celti ‘selvatico’)
kaågna ‘cavagna, cesta, gerla’(celtico kavagna)
krüska (da rüsk ‘buccia’)
rüska ‘buccia’ (celtico rüsk ‘buccia’)

 

Altre parole ignorate dai latini sono entrate nel dialetto nostro e della zona come per esempio:

bügnon ‘bubbone’, ‘rigonfiamento’
brεnta ‘recipiente per il vino’
brüstia  ‘spazzola di saggina rustica’
maóstra ‘fragola’
tripilå ‘agitarsi, affannarsi’


Paiono celiche ancora le origini di nomi propri di località che terminano in -ate e in –ago come Merate, Garbagnate, Vimercate, ecc., Senago, Ornago, Magnago, Parabiago e altri tra cui il nostro Dairago.
(Il soprannome dei dairaghesi è ghosi ‘gozzi’. “Anche quelli di Parabiago si chiamano ghosi” commenta divertito Ambrogio C., che tenta una buffa e improbabile esegesi del termine. “Senti come suona il nome dei due paesi: Parabiaghós, Dairaghós. Ghosi, ghos...”).
Espressioni che evidenziano le radici latine. Sono tante. Troppe. Qualche esempio:
Te du naghott ‘non ti do nulla’. Così dicono a Milano; a Busto Arsizio il niente è detto naghuta.
A Dairago il termine non è usato, se non sulla bocca di qualche forestiero finito qui per non so quale motivo. Se tornassimo indietro nel tempo, in pieno periodo aureo, il Cicerone di turno, al popolano che gli avesse chiesto qualche cosa, avrebbe così risposto: Tibi do nec guttam ‘non ti do neppure una goccia’ (per dire ‘non ti do nulla’). Da Tibi do nec guttam al milanese Te du naghott il passaggio è breve.
Arimortis è un modo di dire rimasto nel gioco dei bambini per indicare la richiesta di interruzione di un gioco. Tale modo di dire ricorda l’uso latino delle arae mortis ‘gli altari della morte, elevati al termine della battaglia per onorare i caduti’. Una indicazione sacra di tregua rimasta ormai solo nel linguaggio dei bambini.
Zlεpa ‘sberla’ dal latino ălăpa. Un antico latino che avesse voluto rifilare uno schiaffone a qualcuno gli avrebbe rifilato un’alapam ‘sberla’. Era anche uso dare uno schiaffo allo schiavo all’atto della liberazione. Nella traduzione inglese del Vangelo di Luca 6:11: “To the man who slaps you on one cheek, present the other cheek too”.


Nel nostro dialetto come in quello milanese, esistono anche vocaboli di origine greca:

basell ‘gradino’
εrbión  ‘pisello’
pistón ‘fiasco’, quest’ultima non più usata
üzmå ‘odorare’ da osmè ‘annusare’


 Legame con i goti:

albεrghu da hari berg ‘rifugio dell’esercito’
nåstar probabilmente da nastilo ‘correggia’
spöa ‘spola, rocchetto’
ståla da stalla ‘luogo di sosta, dimora’
grenta ‘grinta’ da grimmitha ‘che mette paura’
zghuεrcu da thwairhs ‘orbo’
stεka da stika ‘bacchetta’

 

Coi longobardi:

balkon ‘balcone’, balk ‘trave’
banka ‘panca’
bråska ‘brace’ (antico tedesco)
biåka ‘biacca’
ghrentsa grinza’ da ghrimmison ‘corrugare la fronte’
maghon ‘afflizione’
miltsa ‘milza’
mukala! ‘smettila!, dall’originario ‘mozzare’. Muku, aggettivo ‘mozzo, smussato, spuntato’
skena ‘schiena’
skuså ‘grembiule’ (antico tedesco)
ståfa  ‘staffa’
stråku ‘stanco’
tråpa ‘laccio, trappola’
zghrabalå (anche zghrafignå) ‘graffiare’ da krapfo ‘uncino’. Dall’antico tedesco (sec. VIII-XI)
bråski (al plurale) ‘brace’ da bras
fiåsku ‘fiasco’ da flask ‘recipiente di vimini’
guεra ‘guerra’ da werra ‘avviluppare’, ‘mischia’
stangha (per Il grande dizionario Garzanti, di “origine germanica”)

 

In seguito all’impatto coi franchi:

busku ‘bosco’
ghuantu ‘guanto’
ghuårdia dal francone Wardon ‘stare in guardia’ (cfr. tedesco warten ‘custodire’ e Warte ‘vedetta’)

 

Dallo spagnolo potrebbero derivare i termini:

a fuera ‘fuori’
pamposu ‘pane raffermo’
pita ‘chioccia’
prεsa ‘premura, fretta’ (in castigliano si trova prisa).
In Dante ‘calca, ressa, folla di persone’
luku ‘stupido’, dallo spagnolo loco (il termine italiano allocco riveste maggiormente il significato di ‘imbambolato’ che di ‘scemo’, come il termine spagnolo intende)
smurtså ‘spegnere’, voce di origine basca (smorzar ‘spegnere’)
stramitsi ‘spavento’, dallo spagnolo estremezo ‘spavento’
tumåtas ‘pomodori’, dal castigliano tomatos

 

Nel Cinquecento, gli spagnoli si insediarono a Milano. Qualcosa della loro cultura portarono di certo e la fecero circolare. E a Dairago? Il 7 maggio del 2003, nel cortile del signorile palazzo Camaóón (Kamaon, riscritto secondo la tavola dei segni proposta in questa Presentazione), è stata drammatizzata la ricostruita storia del mago. Quale mago? Giò Francesco Casati, figlio di Bernardino, cavaliere nonché podestà di Mantova. Col testamento del 1542, lui ottenne dal padre il titolo per signoreggiare su Dairago cosa che di fatto fece, tra “soprusi e nefandezze” (per quel che si sa, ebbe sette figli naturali oltre ai sette legittimi). Nella recita, che fa rivivere le gesta del Casati e il processo intentato contro di lui, un attore lo qualifica “demonio per via dei bravi”. Ecco, i bravi. “Scagnozzi” li ricorda un’attrice. (In occasione di tale ricostruzione apprendo anche che il milanese Calvi, genealogista dell’Ottocento, definiva i bravi scherani.) È verisimile pensare che per qualche decennio quei figuri abitassero qui, nel centro del paese. E il loro parlare non doveva passare proprio inosservato.
Nel provenzale, in aggiunta, trovano una eco queste parole:

dumå ‘solamente, solo’, dal provenzale mà ‘solo’
kuatå ‘coprire’, da descatar ‘coprire’
satåsi ‘sedere’, da sassetar ‘sedere’
bufå ‘soffiare’, da bufar ‘soffiare’

 

Parentela col francese:

asé ‘abbastanza’. Veghan asé ‘averne a sufficienza’, dal francese assez ‘abbastanza’
frambozi ‘lamponi’
gambon  ‘prosciutto’, da jambon ‘prosciutto’ (jamon, in castigliano)
bundiöa ‘la coppa’

 

Dal tedesco (presenza degli austriaci) possono derivare i termini:

baüscia ‘sbruffone’, dal tedesco bauschen ‘gonfiarsi’
ghεll ‘soldo’, da Geld ‘soldi, quattrini, moneta’
skosu ‘grembo’ da Schoss ‘grembo’. Tiåsi ul fiö in skosu ‘prendere il bambino in braccio, in grembo’