In questa sezione, riprendo da vicino e tengo come base uno studio che chiunque può consultare in rete, navigando in www.melegnano.net/meneghino/dialetto.htm, operando qualche riduzione, adattamento e integrazione. Alla fine, l’operazione assume anche la valenza di confronto con quello stesso vernacolo sudmilanese.
Lingue non indoeuropee |
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Lingue indoeuropee |
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Lingue del nord dell'Italia, circa 390 a.C. Particolare da R.Simone
La pianura padana era abitata, prima della venuta dei Latini, da tribù mediterranee, liguri, retiche, iberiche (originarie della penisola occupata oggi da Spagna e Portogallo). Alcune parole, o ‘radici’, indicherebbero ancora oggi la loro appartenenza a queste antiche parlate pre latine.
Lingua ‘mediterranea’. A lei fanno risalire il termine di Insubrium, nome di Milano.
Alla lingua ‘retica’ – parlata da popolazioni montane da porre in relazione con quelle liguri – si devono molte parole che in seguito entrano a far parte dei dialetti lombardi e di quelli della Svizzera italiana o che, al contrario, danno origine a toponimi (ovvero nomi di località), come ad esempio nava ‘conca’. Alla voce Navàscia, il milanese Cherubini riporta: “Culla. Recipiente quadrilungo e in qualche modo a foggia di nave in cui si raccolgono e si pigiano le uve per indi buttarle nel tino. In altri luoghi d’Italia usano a tal uopo, la bigoncia, il barile, la tinozza...Forse è un rimasuglio della nāvĭa dei latini...”. Alla seconda accezione del termine, Cherubini riserva questo: “Recipiente consimile al suddetto, nel quale i bottinai trasportano dai pozzi neri alla campagna il cessino, e gli spazzaturai raccolgono il fango nelle vie della città”. E qui la cosa vale anche per Dairago dove la naåša era un contenitore a forma di grossa botte allungata e montata su un carro. Serviva a svuotare il pozzo nero.
Altro toponimo che ricorda, forse, la lingua retica è krenna ‘fessura, screpolatura stretta e lunga nelle pareti rocciose’. Cherubini, per la voce crènna, propone questa definizione: “Fessura. Fesso. Scrèpolo. Screpolatura. Sfesso. Forse dal greco χρημνός ‘burrone’, e forse dal latino crēna”.
Lo Stesso, nella seconda accezione parla di ‘canale’.
L’ultimo esempio di toponimo è offerto dalla parola ganda ‘pietrame’. Giànda, per Cherubini è il “frutto degli alberi ghiandiferi come quercia, leccio...” Come la nostra ganda. Il significato della voce milanese giandón, inoltre, significa “Granitone, e propriamente quello che si trova in massi erratici a grossi feldispati ricco di micca, e talora anche con qualche titanio sui feldispati anzidetti” (è quel che oggi chiamiamo ghiandone). Alla voce géra, Cherubini riporta questo: “Greto. Il rigetto della ghiaja dei fiumi, canali e simili” – vedi il latino rĕgestum”. A Dairago si parla di géa ‘ghiaia’ e gaétu. Gaétu ‘ghiaietto’.
Lingua ‘ligure’. A lei invece appartengono, p.es., le radici clav ‘rupe sporgente’ e pala ‘roccia’. Nella prefazione al Vocabolario del dialetto legnanese, a cura di Giorgio D’Ilario, sul tema è offerta la seguente prospettiva. “È interessante ricordare la presenza di un sostrato ligure nei dialetti attorno a Legnano e Busto Arsizio. Non si tratta di contatti fra i nostri paesi e quelli affacciati sul mar Ligure. I fatti risalgono alla preistoria, quando le terre dal Rodano alla Val Camonica erano abitate da tribù liguri. Il loro linguaggio nella seconda metà del primo millennio a.C. fu trasformato prima dalla dominazione gallica, che non penetrò dappertutto in egual misura, poi da quella più profonda e decisiva dei romani. I liguri più tenaci rifugiati sui monti che presero il nome di Liguria conservarono certe loro caratteristiche culturali. Io credo che l’influsso dei galli abbia diffuso una tendenza a contrarre le parole latine, quando anch’essi si convinsero ad abbandonare la propria lingua e ad adottare quella dei dominatori romani. Allora molte parole perdettero gradatamente le vocali non accentate (a Bologna hospitale si è ridotto a sbdεl). Chi abitava sui monti della Liguria non avendo subito una celtizzazione profonda si sottrasse, almeno in parte, a quella tendenza e così avvenne per una tribù incuneata lungo l’Olona tra la brughiera Ovest e i boschi a est verso Tradate-Saronno.”
Dei liguri parlava anche Diodoro Siculo, scrittore greco. Ma siamo già nel primo secolo avanti Cristo:
“Abitano una terra arida e del tutto sterile, vivono una vita dura e disagiata in mezzo alle fatiche.. Conservano modi di vita primitivi e lontani da ogni comodità: le donne sono forti e vigorose come gli uomini, gli uomini come le fiere. Sono valenti e coraggiosi non solo in guerra, ma anche in ogni altra attività pericolosa: si dedicano alla navigazione nei mari della Sardegna e dell’Africa, sfidando audacemente i più gravi pericoli” I manuali di storia ricordano, inoltre, che sulla costa dell’attuale Liguria, Genova, Chiavari e Ameglia furono forse i “centri cittadini più antichi sorti tra il VII e il VI secolo a.C., come empori marittimi per il commercio tra etruschi, fenici e greci venuti dal mare e le genti dell’entroterra”.
E, dalle nostre parti, non è estranea la comparsa, a partire dal VII secolo a.C., di “documenti iscritti su coppe e bicchieri in alfabeto di tipo etrusco leponzio e di graffiti con una o più lettere dell’alfabeto, che costituiscono l’importante testimonianza di una pratica sperimentale della scrittura stessa” (Castellanza nella storia: la ricerca archeologica, Nomos 2002, p.44).
Giurassico. Un altro linguaggio scomparso ‘ufficialmente’ dai documenti della storia è il giurassico, contemporaneo del ligure (quindi come questo pre latino). La sua origine è nelle montagne dell’attuale Giura franco-svizzero. Confrontando alcuni vocaboli di questa lingua con il dialetto milanese – il principale del ceppo lombardo occidentale, dal quale sono poi derivati gli altri dialetti di parte della regione – si trovano affinità. L’articolo el ‘il’ è rimasto tale e quale nel dialetto di Milano e di altre zone attorno (altrove, si registrano lievi varianti come p.es. ol, in fondo alla Valsassina, Lecco). La parola magnin ‘calderaio ambulante’, ha dato origine alla milanese magnàn. Analogamente, d’origine giurassica sono la ghuja, che fa ghiaa in milanese ‘il pungolo col quale si aizzavano i buoi’; il tavan ‘tafano’, e il verbo rougnasser, in milanese rognà, cioè ‘brontolare’.
Celti. Poco dopo l’anno 600 a. C. l’equilibrio etnico esistente nella zona subisce un primo, robusto scossone. Alle popolazioni dominanti del nord, cioè quelle liguri, si mescolano i celti, che i romani più tardi chiameranno galli.
Di origine asiatica, i celti arrivano in Italia dai paesi nordici, specie dalle terre dell’odierna Germania e della Francia del nord. Il loro arrivo provoca notevoli effetti sulle popolazioni e sul loro modo di vivere. I celti finiscono così per condizionare alquanto la vita, i costumi e la lingua delle etnie preesistenti.
L’influenza celtica pare sia lunga e duratura. I vocaboli che quelle genti portano sono soprattutto relativi alla guerra, alle armi, alle fortificazioni. Oggi si riescono a individuare nei dialetti settentrionali varie parole di origine celtica, pur modificate o alterate dalla lingua dei romani. Anzitutto, il toponimo Mediolānum (Milano). A riguardo, c’è una curiosità riportata in Y. Vade (e raccolta da R.Petitti in Sentieri perduti: un sistema celtico di allineamenti, Priuli & Verlucca 1987) che consiste nell’individuazione fatta sinora di più di quaranta centri sparsi sul territorio dell’antica Gallia che portano il nome di Mediolanum. Nel sistema celtico degli allineamenti, li accomuna la caratteristica di essere ciascuno di loro equidistante da almeno altre due Mediolanum. Sono accomunabili anche in virtù della forte ipotesi di essere “centri di qualche cosa”. Chiara dunque la prima parte del nome, Medio. Non sarebbe invece del tutto chiaro né il senso della seconda parte del toponimo, -Lanon, né l’ordine di composizione delle due parti del nome.
L’indicazione del centro è (anche per i celti) una preoccupazione che si riflette nelle pratiche di sacralizzazione del territorio, di localizzazione dei santuari, di tracciamento dei confini e di orientamento delle strade. È lì segnalata rilevante la scoperta di Zignano, a nord di La Spezia, di un cippo sormontato da una testa grossolanamente scolpita, recante una iscrizione in caratteri etruschi che si legge Mezunemusus. E ciò è corrispondente sia a un toponimo celtico, Medionemusus (cfr Medionemeton ‘santuario del mezzo’), sia a un nome d’uomo Meddunemusus ‘colui che si prende cura dei luoghi sacri’ o ‘colui che li misura’.
Secondo la fonte utilizzata dal saggio contenuto nel citato sito di Melegnano, il nome Mediolanum andrebbe fatto risalire alle due parole medio e lan(n)o. Quest’ultima, in celtico, pare significhi ‘spazio recinto e piano’, forse ‘luogo consacrato’. Mediolanum, quindi, significherebbe ‘luogo di mezzo, paese in mezzo a una pianura’.
Accostando altri esempi di toponimi celtici, la parola Brianza, inoltre, deriverebbe da brig ‘luogo elevato’. Qualche altra parola celtica: dervo ‘quercia’, briva ‘ponte’.
Galli. Con l’invasione gallica del IV secolo, prende vita “una cultura che conserva la tradizione celtica dei golasecchiani” che risiede principalmente nell’area tra Golasecca, il Canton Ticino e Como, diffondendosi però dal Sesia al Serio. Il legnanese e la Valle Olona sono pure loro interessati dalla occupazione della comunità di Golasecca. (cfr. Castellanza..., p.44).
I romani. I romani dapprima si attestano in colonie e accampamenti militari (Cremona, prima colonia di diritto latino, nell’anno 218 a.C., seguita nel 214 a.C. da Mantova) e, poco alla volta, sottomettono tutte le popolazioni dell’alta Italia. Le principali città appartengono a tribù celtiche: Mediolanum (Milano) è legata agli insubri; Laus Pompeia (Lodi) ai boi, Bergamo agli orumbovii, Brescia ai cenomani, Tīcīnum (Pavia) ai liguri laevi preesistenti e così via. Roma non impone con la forza la nuova cultura, ma fa in modo che questa si propaghi attraverso l’istruzione, i pubblici uffici, i documenti del vivere quotidiano, gli spettacoli, i giochi.
Nel sito di Melegnano, si ricorda che il latino classico dei vari Marco Tullio Cicerone e Publio Virgilio Marone (autore dell’Eneide), il linguaggio cioè che la classe dirigente e il mondo della cultura usano, rimane per lunghi periodi la ‘lingua’ per eccellenza di coloro che redigono documenti e contratti, e che scrivono opere destinate ai posteri. Il latino parlato comunemente dalla gente perde però anno dopo anno il suo aspetto primordiale e si trasforma, a seconda delle zone geografiche nelle quali viene parlato, in un linguaggio del tutto diverso. La cosa interessa anche quei cittadini di Roma che vanno ad abitare in nuove città.
È così avviata la trasformazione del latino classico in un ‘latino volgare’. Nel contesto, si sviluppano, a seconda dal luogo, differenti parlate con propri suoni, cadenze e vocaboli. Dialetti. Per restare dalle nostre parti, i dialetti rimangono ancorati al ceppo latino (si dice per un 70% circa), lasciando il resto alle parlate preesistenti.
Che il latino sia presente in moltissime parole lombarde è evidente. Si può ricordare, tra l’altro, pistrīnum ‘forno’, che in dialetto ambrosiano è prestìn e da noi pristiné; sĭtŭla ‘secchio’, in milanese sidεla e da noi sidela; ostĭum (latino tardo ustĭum) ‘porta, uscio’ e da noi üšu; pascua ‘pascoli’ e ‘spiazzo erboso’, che in dialetto diventa pasqué a Milano e paské da noi; hinc hodĭe ‘oggi’ da noi inkö; folĭa(m) plurale di folĭum ‘foglio, foglia’ da noi föia.
Col trascorrere degli anni, altre genti scendono nella pianura del Po, talvolta da dominatori, tal’altra in seguito a semplici trasmigrazioni, alla ricerca di terre fertili e luoghi sicuri.
Tanti popoli.