Il ritratto di un dairaghese romantico
Dopo la sentenza capitale pronunciata nel 1647 contro l’ultimo rampollo dei nobili Casati di Dairago, personaggi tristemente conosciuti come i “Maghi” del Camaóón, il loro palazzo assieme a tutti gli averi furono confiscati e venduti nel 1651 a Carlo Grassi, un latifondista di Busto Arsizio.
La proprietà passò quindi ai figli di quest’ultimo e poi ai suoi nipoti, i quali vendettero i beni il 23 maggio 1726 a Carlo Ambrogio Savio di Villa Cortese.
I Savio si erano stabiliti a Villa Cortese nella seconda metà del Cinquecento e, sebbene ancora alla fine del Seicento fossero definiti “persone rustiche”, a quell’epoca erano già possidenti.
La loro proprietà fu notevolmente accresciuta da Carlo Ambrogio Savio figlio di Bernardino, che acquistò nel 1706 anche una “casa da nobile” in paese.
Carlo Ambrogio era prete e rettore del Collegio dei santi Simone e Giuda a Milano, un istituto fondato affinché potessero “essere allevati dodici nobili Giovanetti” assistiti nello studio “vivendo i Collegiali sotto la direzione di un Rettore Sacerdote, che tiene il superiore comando del Collegio, e la cura della Chiesa vicina.”
Negli stessi anni, Giuseppe fratello di Carlo Ambrogio era l’esattore degli oneri fiscali di Dairago.
Vent’anni dopo essere venuto in possesso del palazzo e dell’ingente patrimonio dairaghese, col suo testamento del 5 maggio 1748, Carlo Ambrogio nominò erede universale il nipote Bernardino figlio di Gerolamo Savio, sottoponendo però tutti i beni a “perpetuo fedecommesso” di conseguenza l’erede doveva conservarli e, alla sua morte, trasmetterli interamente ai propri discendenti, a partire dal figlio Carlo.
L’eredità sarebbe passata in seguito alla linea dello stesso Carlo e, qualora questa si fosse estinta, agli altri Savio di Villa Cortese; alla fine, se fosse scomparsa l’intera stirpe, gli averi sarebbero finiti all’Ospedale Maggiore di Milano.
Oltre ai capitali, ai beni mobili e alle abitazioni, l’eredità era formata da 1546 pertiche di terreno così distribuite:
550 a Dairago,
300 ad Olcella,
600 a Villa Cortese
e 96 a Borsano.
Alla fine del Settecento, Scipione figlio di Carlo Savio abitava con la moglie Maria Salvarezzi nel Camaóón; per arrotondare il reddito, i coniugi facevano scuola ai bambini dairaghesi, come certifica una lettera datata 26 fruttidoro anno IX repubblicano (16 settembre 1801), da cui risulta che Scipione “si occupa tanto egli, quanto la moglie nel fare la scuola a fanciulli e fanciulle della Comune affine di giovare alla loro educazione, e di ritrarne insieme una qualche ricognizione, onde sollevare in parte le sue angustie, ricognizione assai tenue anche a motivo della povertà de’ scuolari, che sono per la massima parte figli di contadini.”
I registri di battesimo conservati nell’Archivio Plebano di Dairago riportano i nomi di sei loro figli nati tra il 1792 e il 1799, proprio di uno di costoro è rimasto il pregevole ritratto ad olio, conservato a Busto Arsizio dai suoi lontani parenti.
Il palazzo Camaóón fu venduto dai Savio nel 1948, infine nel 1966 la vetusta famiglia si è estinta con la morte di Pietro, l’ultimo discendente.
Il famedio posto nel cimitero di Dairago raccoglie le spoglie dei Savio a partire dalla seconda metà dell’Ottocento,
vi sono tumulati Pietro Antonio (1796-1872) con la seconda moglie Margherita Stracchetti (1808-1884)
e i loro i figli: Scipione (1824-1907) con la moglie Maria Maddalena Donati (1842-1907), prete Ercole (1835-1886), ragionier Giovanni Carlo (1836-1903) e ragionier Luigi (1842-1921);
i nipoti nati da Scipione: maestra Marianna (1871-1908), ragionier Pietro (1880-1966) con la consorte Teresa Panigani (1885-1980), oltre alla domestica Rosa Giannazzi (1838-1914).
Il ritratto ad olio su tela (alto 60 cm e largo 45 cm) raffigura il mezzobusto di un gentiluomo elegante, facilmente identificabile poiché dietro il quadro, sul telaio di legno, è tracciata a penna la scritta “Bernardino Savio di Scipione nato in Dajrago il 28. Giugn.o 1795”.
Il registro dei battesimi di Dairago conferma le sue generalità, precisando però che la nascita risale alla notte del 27 giugno e invece fu il battesimo ad essere celebrato il 28 successivo: “Millesettecentonovantacinque a di ventotto del mese di Giugno. Bernardino Pietro Antonio Maria Tommaso Scipione figlio del Sig.r Scipione Savio e della Sig.a Maria Salvarezzi legittimi consorti abitanti in Dairago nato ieri alle dieci ore della sera, è stato battezzato il giorno suddetto da me Prevosto sottoscritto in questa Chiesa Prepositurale Curata di S. Genesio del luogo di Dairago Capo di Pieve.
Il compadre è stato Filippo de’ Mattei del fu Giovanni Battista e la commadre Giovanna Colomba detta Scazzosa moglie di Carlo Giovanni Maria Mocchetti ambi di Dairago, ed in fede P. Antonio Beretta Prevosto di Dairago Vicario Foraneo.”
La figura ostenta l’abito di moda nel periodo romantico, ispirato al gusto dei dandies inglesi, ritenuti gli uomini più eleganti dell’epoca.
La giacca bruna col bavero alzato lascia intravedere il gilet verde con profonda scollatura, che ostenta la camicia bianca inamidata, chiusa e ornata da un vezzoso ruche plissettato, fermato con una spilla a forma di fiore.
Sotto il cravattino, una sciarpa bianca legata attorno alla gola irrigidisce il colletto della camicia, con le punte rivolte verso l’alto fino a bloccare il mento.
Durante il periodo romantico, il fazzoletto da collo e la cravatta bianca erano le caratteristiche più importanti dell’abbigliamento maschile, tanto che numerosi opuscoli davano istruzioni sul modo di annodare e di portare tali accessori.
Nel 1825 il poeta francese Châteaubriand spiegò come dovesse apparire un giovane elegante: “Sin dal primo sguardo si deve notare … un certo disordine nella sua persona. Non sia perfettamente rasato e neppure completamente barbuto … riccioli che appaiono scompigliati dal vento, sguardo vacuo e fisso, occhi sbattuti, attoniti, ‘sublimi’, labbra curve in una smorfia di disprezzo verso la specie umana, un cuore annoiato alla Byron”.
“Dipinto dal Professore Gius.e Sogni” è la firma posta a tergo sul telaio del quadro, l’autore fu
quindi un affermato pittore italiano dell’Ottocento.
Giuseppe Sogni nacque a Rubbiano (Crema) il 18 maggio 1795, studiò all’Accademia di Brera indi andò a perfezionarsi a Roma.
Resosi noto fin dal suo esordio all’Esposizione di Brera del 1917, l’artista compì negli anni successivi una brillante carriera come ritrattista e pittore di storia.
Nel 1836 fu nominato insegnante di pittura all’Accademia Pontificia di Bologna e due anni dopo passò all’Accademia di Brera a Milano, nella quale insegnò elementi di figura sino al 1861.
Come fu di larghi principi nell’arte, fu liberale in politica, cosicché durante le Cinque Giornate combatté nelle strade contro lo straniero.
Morì a Milano l’11 agosto 1874.
L’autoritratto del Sogni è conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze, mentre alcune tra le sue opere principali sono raccolte nella Galleria d’Arte Moderna a Milano; può essere ricordato il ritratto dell’imperatore d’Austria Ferdinando I, assieme ai ritratti dell’imperatore Francesco Giuseppe e della moglie “Sissi”, oltre a quello dell’arcivescovo di Milano cardinale Gaysruck.
L’effige di Bernardino Savio dovrebbe essere stata eseguita dopo il 1836, quando il soggetto aveva ormai superato i quarant’anni.
Di là dalla maestria nel dipingere, la sensibilità del Sogni ha dato una connotazione psicologica alla persona raffigurata: un coetaneo del pittore, magari un suo compagno di studi o, come lui, un romantico e liberale.
Certamente gli ideali liberali furono coltivati in casa Savio, li sostenne Scipione cugino di Bernardino quando nel 1848, ancora studente universitario, partecipò come Giuseppe Sogni alle Cinque Giornate di Milano, venendo colpito da un proiettile alla gola mentre sopra un tetto lanciava tegole sugli austriaci.
Rimasto menomato, nel 1870 Scipione sposò l’infermiera che l’ebbe in cura all’ospedale di Milano e visse a Dairago, tramandando alla gente del paese le storie del suo Camaóón.
Parafrasando le parole di una missiva, che nel 1854 omaggiava ufficialmente la “riconosciuta perizia” del Sogni, dobbiamo concludere di “possedere un dipinto che anche, fatta astrazione del soggetto rappresentato, sarà sempre tenuto in pregio come opera di artista distinto che onora la nostra Milano.”
Gruppo di Ricerca Storica
Tratto da: GRSD, Bernardino Savio, il ritratto di un dairaghese romantico,
“Dairago”, a. XVI, n. 1 (aprile 2004), pp. 1-4